Decreto penale di condanna: cosa comporta e cosa decreta l’articolo 459 del Codice di procedura penale
È tristemente risaputo che nel nostro Paese i processi, sia quelli di natura civile che penale, hanno una durata eccessiva, tanto che l’Italia è stata più volte sanzionata anche dall’Unione Europea a causa dell’eccessiva lentezza dei contenziosi.
Al fine di snellire il lavoro, forse eccessivo, della complessa macchina giudiziaria, il legislatore ha introdotto nel nostro ordinamento giuridico alcuni strumenti elastici e versatili.
Nel settore del diritto e della procedura penale, ad esempio uno strumento particolarmente utile e veloce per perseguire reati non eccessivamente gravi è il cosiddetto Decreto Penale di Condanna.
- Indice articolo
- Che cos’è un decreto penale di condanna?
- Quali tipi di reati possono portare a un decreto penale di condanna?
- Quali sono i criteri di conversione della pena detentiva in pena pecuniaria?
- Quali sono le conseguenze della violazione di un decreto penale di condanna?
- Quali sono i vantaggi per l’imputato?
- Posso lasciare il Paese se ho un decreto penale di condanna?
- È possibile impugnare il decreto penale di condanna?
- Possibilità di richiedere una consulenza
legale - Link esterni di approfondimento
- Vuoi una consulenza legale?
Che cos’è un decreto penale di condanna?
Il decreto penale di condanna è un modo per punire i reati meno gravi in modo più veloce rispetto ad un processo vero e proprio.
Questo provvedimento può essere emesso senza svolgere un’udienza, il che lo rende molto più rapido.
Inoltre, l’istruttoria necessaria per emettere il decreto è decisamente sommaria.
Il decreto penale di condanna prevede solo sanzioni di tipo pecuniario, ovvero multe.
A differenza di una sentenza di condanna, che può prevedere anche la detenzione, il decreto non può privare la persona della libertà.
Questo significa che non è possibile emettere un decreto penale di condanna se il reato prevede la detenzione, a meno che la pena detentiva non venga convertita in una multa.
Tuttavia, anche se la sanzione del decreto penale di condanna è solo una multa, non va sottovalutata.
Si tratta infatti di una sanzione penale, non amministrativa o civile come una multa per un parcheggio sbagliato.
Questo significa che ha tutte le conseguenze previste dalla legge per una condanna penale.
Se la multa prevista dal decreto penale di condanna non viene sospesa dal giudice, la persona condannata deve pagare l’importo stabilito nelle casse dell’erario.
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Quali tipi di reati possono portare a un decreto penale di condanna?
Come sopra anticipato, perciò, il decreto penale di condanna viene emesso solamente per stigmatizzare delitti e contravvenzioni non particolarmente gravi.
I reati che generalmente vengono perseguiti mediante il decreto penale di condanna e perciò tutti connotati da una scarsa offensività della condotta, sono:
- La guida in stato di ebbrezza
- Il danneggiamento
- Le truffe
- I furti
- Le appropriazioni indebite
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Quali sono i criteri di conversione della pena detentiva in pena pecuniaria?
I criteri di conversione della pena detentiva in pena pecuniaria sono disciplinati dall’art. 459 bis del c.p.p. il quale dispone che il giudice, al fine di determinare l’ammontare della pena pecuniaria, individua il cosiddetto valore giornaliero al quale può essere assoggettato l’imputato, e lo moltiplica per i giorni di pena detentiva.
Nella determinazione dell’ammontare di cui al periodo precedente, il giudice tiene conto della condizione economica complessiva dell’imputato e del suo nucleo familiare.
Il valore giornaliero non può essere inferiore alla somma di € 75 di pena pecuniaria per un giorno di pena detentiva e non può superare di tre volte tale ammontare; un esempio concreto potrebbe rendere più chiaro il concetto.
Se un soggetto viene condannato a sei mesi di carcere e 2.000 € di ammenda, senza calcolare l’eventuale applicabilità delle circostanze attenuanti, applicando i criteri contenuti nella norma sopra richiamata, la conversione sarà la seguente: sei mesi per 75€ al giorno determina una sanzione pecuniaria pari ad €13.500 ai quali dovranno aggiungersi i 2.000 € di ammenda originariamente previsti.
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Quali sono le conseguenze della violazione di un decreto penale di condanna?
Tempo fa esisteva una norma contenuta nel Codice penale, ovvero l’art. 136, la quale prevedeva che, nel caso in cui un giudice avesse inflitto al condannato una pena pecuniaria ma quest ultimo non fosse stato in grado di pagarla, la stessa si sarebbe convertita in pena detentiva.
Ciò significa, quindi, che anche il mancato pagamento dei debiti pecuniari derivanti da sentenza di condanna esponeva ad una possibile sanzione detentiva.
Oggigiorno, comunque, le cose sono decisamente cambiate.
La Corte Costituzionale, con la sent. 131/1979 ha dichiarato l’illegittimità costituzionale della norma sopra richiamata, ritenendo privo di qualsiasi ragionevole giustificazione il fatto che un soggetto potesse essere incarcerato a causa di un debito pecuniario a prescindere dalla propria situazione economica.
Insomma, tale norma configurava una vera e propria discriminazione tra chi era benestante e chi no, perché solo il secondo rischiava il carcere per una pena pecuniaria.
In definitiva comunque, oggi chi non paga una sanzione pecuniaria irrogata con un provvedimento giudiziale, compreso il decreto penale di condanna, non rischia più di andare in carcere.
Ovviamente questo non significa che chi non paga non avrà alcuna conseguenza negativa.
In primis, il mancato pagamento della somma determina chiaramente il permanere della “macchia” sul proprio casellario giudiziario per il reato commesso.
Ovviamente, prima di arrivare a ciò, lo Stato cerca di recuperare le somme dovute nei modi e con i mezzi previsti dalla legge.
Infatti, tutte le volte che lo Stato risulta essere creditore nei confronti di un cittadino, per qualsiasi ragione, ad esempio per imposte dovute e non versate, per una sanzione penale o civile etc…, l’Agente riscossore deve avviare l’iter necessario per poter recuperare le somme dovute.
Si tratta, ovviamente, dell’Agenzia Delle Entrate-Riscossione (la quale a breve sarà definitivamente sostituita da Agenzia delle Entrate).
Quest’ultima non ha potere di carattere penale, ovvero non può limitare l’altrui libertà a causa dei propri debiti, e potrà solamente notificare la cosiddetta cartella di pagamento nei confronti del debitore, dandogli sessanta giorni di tempo per pagare.
Una volta notificata tale cartella, inizia a decorrere il termine di prescrizione di cinque anni, poiché infatti il termine di prescrizione previsto dalla legge relativo alle somme intimate mediante sentenza è quinquennale.
Se entro tale lasso di tempo l’esattore non dovesse fare tutto ciò che è necessario per recuperare le somme dovute dal privato cittadino, il debito si estingue.
Giunti a questo punto, però, potrebbe sorgere spontanea la domanda: cosa può fare concretamente l’Agenzia delle Entrate per recuperare le somme dovute dal cittadino?
Innanzitutto, può iscrivere ipoteca sugli immobili di proprietà del debitore e successivamente farli vendere ai pubblici incanti.
Ancora, l’Agenzia potrà pignorare il conto corrente del debitore, lo stesso dicasi per lo stipendio e per la pensione dello stesso.
È bene precisare però che il potere dell’Agente riscossore non è illimitato, il legislatore, infatti, ha previsto limiti ben precisi.
- Non è possibile pignorare la prima casa del soggetto debitore, salvo che non sia casa di lusso;
- Non è possibile pignorare il conto corrente del debitore inadempiente di appoggio della pensione o dello stipendio se pari od inferiore al triplo dell’assegno sociale (ovvero 468,10 x3= 1.404.30). In altre parole è possibile pignorare solo le somme che eccedono tale limite.
- L’Agenzia non può pignorare più di un decimo della pensione o dello stipendio se le mensilità non superano i 2.500 €; nel caso in cui dovessero superare tale somma, ma non superassero i 5.000 €, il pignoramento può avvenire entro un settimo; se invece si supera anche tale somma, il limite di pignoramento scende ad un quinto. Ancora, se il pignoramento della pensione avviene direttamente presso l’INPS, è possibile trattenere solo un quinto, detratto prima il minimo vitale ovvero pari a 1,5 volte l’assegno sociale (ovvero 468,10 x 0.5 = 702,15).
- Se il reo ha più di un immobile di proprietà, il pignoramento può avvenire solamente per debiti pari o superiori a 120.000 € e sempre che il valore complessivo dell’intero patrimonio immobiliare del debitore superi i 120.000 €.
- Infine, qualora il debitore non dovesse essere in grado di pagare (perché, ad esempio, si tratta di un soggetto nullatenente), l’esattore abbandonerà l’esecuzione forzata e di tutto ciò non rimarrà alcuna traccia nel certificato penale, salvo ovviamente la menzione del reato commesso.
Occorre precisare che i debiti contratti con lo Stato per le sanzioni penali non si trasferiscono agli eredi, ciò significa che se il reo dovesse morire prima della prescrizione del suo debito verso l’erario, i suoi eredi non saranno tenuti in alcun modo a pagare le somme da questi dovute per il reato commesso, salvo che non si tratti di risarcimento del danno alla vittima.
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Quali sono i vantaggi per l’imputato?
L’emanazione del decreto penale di condanna in luogo di una sentenza di condanna, ha dei vantaggi notevoli.
Grazie al decreto è possibile infatti ottenere il massimo risparmio dei tempi processuali, il che non è affatto un aspetto secondario.
Tra i vari vantaggi è possibile citare, inoltre, la diminuzione della pena fino alla metà del minimo edittale.
Tra l’altro, nel caso in cui vengano concesse attenuanti generiche, la pena può concretamente scendere al di sotto della metà del minimo.
Ancora, altri vantaggi tutt’altro che poco rilevanti sono l’esenzione delle spese processuali ed il fatto che il decreto penale di condanna estingue il reato ed ogni effetto penale decorso il termine di cinque anni (in caso di reato) o di due anni (in caso di contravvenzione).
Tra gli altri vantaggi è possibile citare:
- L’inapplicabilità delle pene accessorie;
- L’inapplicabilità della confisca facoltativa;
- L’inefficacia extra-penale del decreto penale di condanna in giudizi civili o amministrativi;
- La possibilità di sospensione condizionale della pena inflitta (che sarà sempre e solo pecuniaria come anticipato);
- La reiterabilità della sospensione condizionale della pena in un caso successivo trattandosi di pena esclusivamente pecuniaria;
- La persona offesa dal reato non ha la possibilità di costituirsi parte civile e di chiedere quindi il risarcimento del danno nell’ambito dello stesso processo penale.
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Posso lasciare il Paese se ho un decreto penale di condanna?
Non tutti sanno che con dei precedenti penali si potrebbero avere dei problemi per partire anche solo per una vacanza all’estero.
In poche parole, avere una “fedina penale” immacolata potrebbe essere necessario per poter andare in vacanza senza alcun pensiero.
La fedina penale, più precisamente chiamata casellario giudiziale, contiene tutte le condanne passate in giudicato, ovvero, i procedimenti penali definiti con sentenza di condanna o con decreto penale di condanna.
Se la propria fedina penale dovesse essere “sporca” è pur sempre possibile fare ricorso all’istituto della riabilitazione o all’estinzione del reato con lo strumento dell’incidente di esecuzione, qualora si trattasse di sentenza di patteggiamento o decreto penale di condanna.
Al fine di dare una risposta al quesito sollevato, è pertanto necessario fare una distinzione: nel caso in cui si avesse una sola condanna con il beneficio della sospensione della pena, o in caso di estinzione del reato, non si ha alcun problema ad ottenere il rilascio del passaporto o della carta di identità valida per espatrio.
Viceversa, se si hanno condanne con sospese, non è possibile ottenere nessuno dei due documenti, ai sensi dell’art. 3 della Legge n. 1185/1967, che infatti prevede l’impossibilità di ottenere il passaporto per “coloro che debbano espiare una pena restrittiva della loro libertà personale o soddisfare una multa o ammenda”.
In parole povere, se la propria fedina penale risulta macchiata, anche a causa di un decreto penale di condanna e la pena a cui si è stati condannati non fosse stata ancora espiata, non sarà possibile ottenere il passaporto e conseguentemente non sarà possibile lasciare il proprio Paese, nemmeno per una breve vacanza.
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È possibile impugnare il decreto penale di condanna?
Colui il quale riceve il decreto penale di condanna non è affatto sprovvisto di tutele.
Il condannato, infatti, ha la possibilità di proporre opposizione entro quindici giorni dalla notifica del decreto.
Con l’atto di opposizione al decreto penale di condanna, le scelte che il condannato può fare sono molteplici; può innanzitutto chiedere l’applicazione della pena su concorde richiesta delle parti ai sensi dell’art. 444 c.p., cosiddetto patteggiamento.
Può altresì richiedere il giudizio abbreviato, ovvero un processo “alternativo” da celebrarsi allo stato degli atti con limitate possibilità istruttorie, il quale garantisce uno sconto notevole della pena, pari ad un terzo, in caso di condanna.
L’opponente, inoltre, può richiedere la messa alla prova, ovvero la sottoposizione del soggetto a dei lavori socialmente utili con finalità di estinzione del reato.
Infine, l’opponente può chiedere il dibattimento, ovvero, un processo penale vero e proprio, detto iter ordinario, con tutte le garanzie difensive e possibilità istruttorie previste dalla legge.
Ad avviso della giurisprudenza maggioritaria, l’imputato cosiddetto “opponente” al decreto penale di condanna avrà comunque la facoltà di revocare l’opposizione e lasciare che il provvedimento di condanna passi in giudicato, ovvero diventi definitivo.
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Ricevere un decreto penale di condanna non è sicuramente una bella notizia. La prima cosa da fare in questi casi è rivolgersi ad un avvocato specializzato nel diritto penale, al fine di chiedergli se sia utile proporre opposizione o meno, o comunque per avere più informazioni possibili sulle conseguenze del decreto.
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